Parere del CNF sulla nuova normativa antiriciclaggio

Con la circolare n. 12 – C del 4 dicembre 2017, il Consiglio Nazionale Forense ha comunicato ai Presidenti dei Consigli degli Ordini territoriali le conclusioni, condivise con il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialistie dei Revisori Contabili, in merito agli obblighi di “promozione e controllo”posti a loro carico dalla nuova normativa in materia di antiriciclaggio.Va infatti ricordato che, in attuazione della c.d. IV Direttiva Europea Antiriciclaggio (n. 2015/849), il 4 luglio 2017 è entrato in vigore il Decreto Legislativo 25 maggio 2017, n. 90, che ha sostanzialmente riscritto senza abrogarlo il D. Lgs. 231 del 2007 in materia di antiriciclaggio e finanziamento al terrorismo.

Nello specifico, l’art. 11 co. 1 del D. LGS 231/2007 stabilisce che “gli organismi di autoregolamentazione, le loro articolazioni territoriali e i consigli di disciplina, secondo i principi e le modalità previsti dall’ordinamento vigente, promuovono e controllano l’osservanza degli obblighi previsti dal presente decreto da parte dei professionisti iscritti nei propri albi ed elenchi”.
Invero, rispetto all’art. 8 del previgente Decreto, non è stata introdotta alcuna rilevante novità, sia con riguardo ai compiti di promozione della normativa che a quelli del controllo dell’osservanza degli obblighi da parte dei professionisti iscritti agli albi.
Con riferimento ai primi, i programmi di formazione continua obbligatoria predisposti dai Consigli degli Ordini dovranno continuare a comprendere tra le materie la disciplina dell’antiriciclaggio. A tale riguardo il co. 2, sempre dell’art. 11, prevede che “I predetti organismi e le loro articolazioni territoriali sono altresì responsabili della formazione e dell’aggiornamento dei propri iscritti in materia di politiche e strumenti di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.”
Riguardo invece ai secondi, la nuova disciplina sembra confermare la prassi di controllo adottata nei precedenti dieci anni di vigenza dagli Ordini territoriali, interpretando tale compito come potestà di vigilanza disciplinare nei confronti dei professionisti. In ogni caso, il Decreto del 2017, così come quello del 2007, non assegna ai Consigli dell’Ordine alcuno specifico potere ispettivo o di acquisizione di informazioni nei confronti dei propri iscritti. Spetta dunque ai Consigli valutare e sanzionare eventuali violazioni della normativa antiriciclaggio da parte dei professionisti, come indicato al co. 3 dell’art. 11: “ Gli organismi di autoregolamentazione, attraverso propri organi all’uopo predisposti, applicano sanzioni disciplinari a fronte di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime degli obblighi cui i propri iscritti sono assoggettati ai sensi del presente decreto e delle relative disposizioni tecniche di attuazione e comunicano annualmente al Ministero dell’economia e delle finanze e al Ministero della giustizia i dati attinenti il numero dei procedimenti disciplinari avviati o conclusi dagli ordini territoriali.”
Si segnala che l’art. 66 valorizza le sanzioni comminabili specificando che “(…) violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime delle disposizioni di cui al presente decreto (…) costituiscono presupposto per l’applicazione delle sanzioni disciplinari, ai sensi e per gli effetti dei rispettivi ordinamenti di settore. In tali ipotesi l’interdizione dallo svolgimento della funzione, dell’attività o dell’incarico non può essere inferiore a due mesi e superiore a cinque anni.”
La circolare del Consiglio Nazionale Forense chiarisce inoltre che gli Ordini Territoriali devono inviare ad inizio anno, allo stesso Consiglio Nazionale Forense, i dati relativi ai provvedimenti in corso o conclusi nell’anno precedente nei confronti dei professionisti. Il Consiglio Nazionale Forense provvederà poi, entro il 30 marzo successivo, a trasmetterli al Comitato di Sicurezza Finanziaria del Ministero del Tesoro ed agli altri Ministeri.
In sintesi, questi i principali adempimenti da seguire in materia di antiriciclaggio a carico degli avvocati.

Va ricordato che il Decreto definisce quali operazioni di “riciclaggio”:
– la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza della provenienza da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni;
– l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
– l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
– la partecipazione ad uno degli atti di cui ai punti precedenti e l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione.

Il riciclaggio è considerato tale anche se le attività che hanno generato i beni da riciclare si sono svolte fuori dai confini nazionali. La normativa antiriciclaggio interessa gli avvocati quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:
– trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;
– gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;
– apertura o gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;
– organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;
– costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.

Il Decreto dispone l’obbligo di adeguata verifica del cliente e del titolare effettivo:
– in occasione dell’instaurazione di un rapporto continuativo o del conferimento dell’incarico per l’esecuzione di una prestazione professionale;
– in occasione dell’esecuzione di un’operazione occasionale, disposta dal cliente, che comporti la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che sia effettuata con una operazione unica o con più operazioni che appaiono collegate per realizzare un’operazione frazionata ovvero che consista in un trasferimento di fondi superiore a 1.000 euro.

In ogni caso è necessario procedere all’adeguata verifica del cliente e del titolare effettivo:
– quando vi è sospetto di riciclaggio, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile;
– quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione.
Le attività di identificazione e verifica dell’identità del cliente, dell’esecutore e del titolare effettivo, sono effettuate prima dell’instaurazione del rapporto continuativo o del conferimento dell’incarico per lo svolgimento di una prestazione professionale o prima dell’esecuzione dell’operazione occasionale. I professionisti sono esonerati dall’obbligo di verifica limitatamente ai casi in cui esaminano la posizione giuridica del cliente o svolgono compiti di difesa o rappresentanza del cliente in un procedimento giudiziario, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita, compresa la consulenza sull’eventualità di intentarlo o evitarlo.

Il Decreto individua inoltre una serie di fattori di rischio da tenere in adeguata considerazione:
– clienti: p.e. rapporti o prestazioni professionali instaurati o eseguiti in circostanze anomale; clienti residenti o aventi sede in aree geografiche ad alto rischio; strutture qualificabili come veicoli di interposizione patrimoniale; attività economiche caratterizzate da elevato utilizzo di contante ecc.);
– prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione: ad es., servizi offerti a clientela dotata di patrimoni ingenti; prodotti o operazioni che potrebbero favorire l’anonimato; pagamenti ricevuti da terzi privi di un evidente collegamento con il cliente o con la sua attività ecc.);
– aree geografiche: p.e. Paesi terzi privi di efficaci presidi di prevenzione del riciclaggio o che fonti autorevoli e indipendenti valutano essere caratterizzati da elevato livello di corruzione o permeabilità ad altre attività criminose; Paesi soggetti a sanzioni, embargo ecc. emanate da organismi nazionali e internazionali.

Come disposto dall’art. 35 del D. Lgs. 231/2007, nel caso di operazione ritenuta sospetta, i professionisti, prima di compiere l’operazione, devono inviare senza ritardo una segnalazione alla UIF (Unità di informazione Finanziaria della Banca d’Italia), ovvero agli “organismi di autoregolamentazione”, che provvederanno a trasmetterla integralmente alla UIF priva del nominativo del segnalante. L’operazione può essere compiuta solo dopo che è stata effettuata la segnalazione. La segnalazione contiene i dati, le informazioni, la descrizione delle operazioni ed i motivi del sospetto. Ai soggetti tenuti alla segnalazione di un’operazione sospetta, e a chiunque ne sia comunque a conoscenza, è vietato dare comunicazione al cliente interessato o a terzi dell’avvenuta segnalazione, dell’invio di ulteriori informazioni richieste dalla UIF o dell’esistenza ovvero della probabilità di indagini o approfondimenti in materia di riciclaggio. Sono esonerati dall’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette i professionisti per le informazioni che ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso nel corso dell’esame della posizione giuridica o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento innanzi a un’autorità giudiziaria o in relazione a tale procedimento, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi di legge, compresa la consulenza sull’eventualità di intentarlo o evitarlo, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.

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