Mozione del Consiglio dell’Ordine di solidarietà ai Colleghi vittime di ingiusta perquisizione

Il giorno 23.6.2017 veniva eseguita perquisizione locale negli studi professionali e nelle abitazioni di due avvocati iscritti all’Ordine di Udine per ricerca e sequestro del corpo del reato o di cose pertinenti al reato di infedele patrocinio, contestato ai due professionisti.
La perquisizione negli studi professionali era stata richiesta dal Pubblico Ministero e autorizzata dal Giudice per le Indagini Preliminari, mentre la perquisizione nelle abitazioni era stata direttamente disposta dal Pubblico Ministero con provvedimento firmato da Sostituto Procuratore titolare delle indagini e vistato dal Procuratore Capo.
Alla perquisizione presso gli studi professionali presenziavano consiglieri dell’Ordine degli Avvocati di Udine su delega del Presidente, tempestivamente avvisato, come previsto dalla legge.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Udine veniva così a conoscenza della perquisizione e del sequestro, e già la lettura dei pochi atti essenziali posti a disposizione dei Consiglieri intervenuti presso gli studi professionali suscitava non poche perplessità in ordine alla correttezza dei provvedimenti e alla legittimità di attività così invasiva.
Si notava, in primo luogo, che il reato in relazione al quale erano stati disposti perquisizione e sequestro – in relazione al quale il Pubblico Ministero aveva ritenuto sussistere “gravi indizi” – era il reato di infedele patrocinio che sarebbe stato commesso da uno dei due professionisti indagati suggerendo alla propria assistita di avvalersi della facoltà di non rispondere in interrogatorio che era stato disposto dal Pubblico Ministero in relazione al reato di favoreggiamento a lei contestato.
Appariva strano e incongruo che potesse essere ravvisato il reato di infedele patrocinio nell’invito o suggerimento impartito dal difensore alla propria assistita di esercitare diritto a lei riconosciuto dal nostro ordinamento (quello, appunto, di avvalersi della facoltà di non rispondere in interrogatorio disposto dal Pubblico Ministero).
Appariva in secondo luogo quantomai singolare che l’interrogatorio nel corso del quale l’indagata si era appunto avvalsa della facoltà di non rispondere fosse stato disposto in relazione al reato di favoreggiamento che l’indagata avrebbe commesso a vantaggio del marito, rendendo dichiarazioni a lui favorevoli, laddove l’art. 384 c.p. prevede espressamente il vincolo di coniugio quale causa di non punibilità del reato di favoreggiamento.
Appariva anche e infine incondivisibile che nel capo d’imputazione si enfatizzasse un concerto tra i due difensori (rispettivamente del marito e della moglie), atteso che l’art. 46, comma 5, del Codice Deontologico Forense prevede espressamente che “l’avvocato, nell’interesse della parte assistita e nel rispetto della legge, collabora con i difensori delle altre parti, anche scambiando informazioni, atti e documenti”.
Il giorno 24.6.2017 il COA di Udine vedeva con disappunto pubblicata la notizia con rilievo grafico sulla stampa locale con omissione dei nomi dei professionisti indagati, ma con descrizione dettagliata dei reati a loro contestati con pregiudizio e nocumento, all’occhio dell’opinione pubblica, dell’intera categoria professionale.
Il COA, nel condannare aspramente la diffusione della notizia, ragionevolmente a opera di soggetti diversi dai professionisti coinvolti, decideva di attendere evoluzioni prima di assumere una posizione in relazione alla vicenda, che appariva di interesse dell’intera categoria in quanto coinvolgente rapporti tra Pubblico Ministero e difensore e a possibili indebite ingerenze del Pubblico Ministero nel rapporto esclusivo esistente tra difensore e difeso.
Le evoluzioni non tardavano a sopraggiungere: con ordinanza 13.7.2017 il Tribunale per il Riesame di Udine, adito dai difensori degli indagati, disponeva l’annullamento del provvedimento di perquisizione e di sequestro e la restituzione agli aventi diritto di quanto in sequestro, non essendo “ravvisabile il fumus del reato di patrocinio infedele contestato.
Osservava, tra l’altro, il Tribunale nel suo provvedimento che il suggerimento rivolto da un difensore alla propria assistita di avvalersi della facoltà di non rispondere costituisce “linea difensiva” in relazione alla quale “non può essere mossa alcuna censura, la stessa essendo esplicazione di un diritto espressamente riconosciuto all’indagato/imputato”.
Rilevava ancora il Tribunale di Udine che “anche in difetto di specifiche ragioni di opportunità, comunque rientrava pienamente nel diritto di difesa quello di suggerire alla propria assistita di avvalersi della facoltà di non rispondere”.
Osservava ancora il Tribunale di Udine che “non può censurarsi il fatto che i difensori, come emerge dalle conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione, abbiano avuto tra loro dei contatti e degli scambi di informazioni atteso che, come ben sottolineato da uno dei difensori, è lo stesso Codice Deontologico forense che suggerisce un tanto”.
Il COA di Udine nel condividere pienamente la decisione del Tribunale per il Riesame di Udine – pur nella consapevolezza della non definitività, allo stato, del provvedimento – intende esporre alcune considerazioni, atteso che ritiene che nella vicenda descritta sia ravvisabile un concreto pregiudizio all’indipendenza del difensore e al principio di rango costituzionale della inviolabilità del diritto alla difesa (art. 24 Cost.).
Il Pubblico Ministero con il suo agire ha preteso di interferire nel rapporto esclusivo tra difensore e difeso e di condizionarne lo svolgimento.
Il Pubblico Ministero ha infatti incriminato avvocati per avere costoro suggerito al proprio assistito una certa linea difensiva (anzichè altra) perfettamente legittima, ma al Pubblico Ministero non gradita, evidentemente perchè non suscettibile di condurre all’acquisizione di elementi di prova a sostegno della sua tesi accusatoria.
Intuibile è la portata condizionante di siffatto modus agendi, in quanto idoneo a condizionare la scelta difensiva da parte di avvocato che non voglia essere incriminato.
Afferma il COA che è il difensore, insieme con l’assistito – e non la Pubblica Accusa – la sola parte processuale deputata a valutare e decidere ciò che sia utile o dannoso all’indagato e all’imputato.
Ribadisce il COA la propria assoluta contrarietà alla sovraesposizione mediatica che caratterizza non di rado vicende processuali ancora lontane dalla possibilità di affermazione della responsabilità dei soggetti coinvolti nelle indagini e rileva, con riferimento al caso di specie, che quello che appare un grave incidente di percorso del Pubblico Ministero non avrebbe portato nocumento all’immagine dell’Avvocatura in prima battuta e della Pubblica Accusa ora se la notizia fosse stata mantenuta nei giusti e ristretti limiti suggeriti da prudenza e riservatezza.
Tanto più che, come perfettamente prevedibile e come avvenuto nel caso di specie, la notizia dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale del Riesame è stata pubblicata con veste grafica assai meno visibile di quella scelta per la pubblicazione della notizia della perquisizione e del sequestro e della pendenza del procedimento a carico dei due professionisti.
Afferma e ribadisce il COA di Udine la piena e assoluta libertà dell’avvocato di intrattenere a fini difensivi rapporti con Colleghi in linea con quanto previsto dal Codice Deontologico: guai se si dovesse consentire l’ingresso di orientamento che preveda l’incriminazione di avvocato che tratti o discuta con Collega i termini di una controversia e della definizione della stessa (ad esempio con remissione di querela).
In conclusione, il COA offre ai due propri iscritti colpiti da una misura così invasiva e così afflittiva come la perquisizione dello studio e della propria privata dimora piena solidarietà, e li esorta a non deflettere dal percorso difensivo tracciato solo perché preoccupati da possibili conseguenze negative per la loro persona, ed esprime vivo compiacimento per la attenta risposta fornita dal Tribunale di Udine in sede di riesame del decreto di perquisizione, dimostrando il Tribunale una volta di più la piena adesione al modello di giudice “ terzo e imparziale “ tracciato dal legislatore, adesione che trova alta affermazione nel riconoscimento del valore intangibile del rapporto tra difensore e difeso e del principio di libertà racchiuso nel diritto di non rispondere alle domande poste sia in fase di indagini che in fase di giudizio.

Udine, 21 luglio 2017

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